Miti sulle tre divinità della terza meditazione
PELE

Con la dea Pele siamo nel cuore della mitologia dell’arcipelago vulcanico delle Hawaii. Divinità del fuoco, del fulmine e dei vulcani, Pele veniva chiamata “Colei che plasma la terra sacra”. La sua dimora è situata in corrispondenza del grande cratere in cima al Kīlauea, uno dei vulcani più attivi del Pianeta. Presumibilmente le colate di lava disseminate intorno al vulcano sono le sue lacrime e i sottili filamenti dorati che fuoriescono dalle spaccature aperte nel terreno sono i suoi capelli.
Pele è figlia dello spirito femminile della fertilità Haumea e della divinità dell’acqua e dell’aria Kane Hoalani. Haumea discende direttamente da Papa, o Madre Terra, e Wakea, Padre Cielo, entrambi originati dagli Esseri supremi. Dall’unione di Terra, Acqua e Aria, nasce questa dea collegata al Fuoco, elemento che Pele esprime con un’energia vivace e talvolta distruttiva e un temperamento passionale. È vista come protagonista di molti amori, sia con divinità che con mortali. Iraconda, orgogliosa, gelosa, imprevedibile, secondo gli abitanti delle Hawaii sono i suoi umori la causa dei fenomeni vulcanici molto frequenti nelle loro isole. Ha numerosi fratelli e sorelle, anch’essi collegati a fenomeni naturali: il vento, la pioggia, il fuoco, le nuvole, le onde dell’oceano che, maestose, s’infrangono sulle coste.
Pele non è una divinità autoctona: si narra che nacque a Tahiti, da cui venne cacciata dal padre proprio a causa del suo carattere turbolento. Così, viaggiando su una canoa, attraversò l’oceano verso Nord, alla ricerca di un luogo in cui vivere. Molte furono le isole che incontrò sulla propria strada e sulle quali cominciò a scolpire la propria casa, ma la sua perenne insoddisfazione la spingeva sempre ad andare da un ‘altra parte, lasciandosi alle spalle crateri subito riempiti dall’acqua del mare e dalle piogge. Infine approdò alle Hawaii e qui creò il Kilauea, che divenne la sua casa, considerata da lei l’ombelico del mondo. E fu proprio da lì che gli dei cominciarono la creazione.
Un altro mito racconta che, mentre viaggiava in canoa, Pele venne inseguita dalla sorella Nāmaka, che ne voleva la morte. Nello scontro tra le due sorelle, Pele fu uccisa e il suo corpo si trasformò nella lava e nel vapore che provengono dal vulcano Kilauea, in cui ancora oggi continua a vivere il suo spirito . Quando Pele appare, assume la forma di una fanciulla dai capelli corvini, vestita di rosso o di nero, di una donna vecchia e rugosa oppure di un cane bianco.
Pele è anche dea della danza e la sua figlia preferita è Hi’jaka, protettrice dei danzatori di hula, la tipica danza polinesiana che, con i suoi movimenti sinuosi e armoniosi, simboleggia la sensualità della dea e il movimento flessuoso della lava che scava ondulati sentieri sulle pendici dei vulcani.
A Pele sono sacri gli alberi ohi’a lehua, che crescono soprattutto nelle foreste pluviali della regione Kau nella Grande Isola di Hawaii, che furono i primi alberi che emersero dalla lava nera indurita da cui era ricoperta l’isola, con i loro bellissimi fiori di un meraviglioso rosso brillante.
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Esistono diverse tradizioni che raccontano l’origine di Thot, divinità che riveste un ruolo estremamente importante nel pantheon egizio: per alcuni è il figlio del dio Ra, per altri il figlio di Horus, mentre per altri ancora si è autogenerato e, sotto le sembianze di un ibis, ha deposto l’uovo cosmico che racchiudeva in sé la possibilità di tutte le forme del mondo. Oltre che come ibis, l’uccello sacro che vola sul Nilo, Toth era rappresentato come un babbuino. In questa forma lo ritroviamo spesso raffigurato dietro gli scribi; Thot infatti, è colui che portò agli uomini la scrittura e, per questo, è il protettore di coloro che praticavano l’arte dei geroglifici passata di generazione in generazione, operando sia in ambito amministrativo sia in sfere più sacre, depositari delle formule magiche e rituali. Non dimentichiamo che la scrittura, per gli Egizi, non era semplice strumento di comunicazione – uno dei tanti, in mezzo ad altri, come può essere per noi – ma arte sacra indissolubilmente legata alla conoscenza. Thot, dunque, è depositario di saggezza e conoscenza, detentore della magia più profonda, patrono delle “case della vita”, le biblioteche e le scuole che si trovavano all’interno dei templi. È divinità connessa al cuore, che, per gli Egizi, era la sede del pensiero. Svolgeva anche il ruolo di “segretario personale” del dio Ra e assisteva al processo della psicostasia, con un foglio di papiro tra le mani, per registrare il nome del defunto e pendere nota della sua sorte. Il Libro di Thot, testo magico da cui sono derivati i Tarocchi di molte tradizioni, conteneva conoscenze che avrebbero accompagnato il defunto verso l’Illuminazione nell’Oltre. Nei diversi luoghi in cui veniva venerato, Thot è sempre collegato al tema della creazione del mondo, che avviene attraverso il suono e la parola: ad Ermopoli è il demiurgo che crea attraverso la parola, a Menfi è il linguaggio del dio creatore Ptah e ad Eliopoli è lingua o cuore di Ra.
Thot è una divinità lunare; in un antico testo, è lo stesso Ra che definisce il Dio come “colui che prenderà il suo posto” durante le ore notturne, quando la barca celeste attraversa l’Aldilà. Come “Luna di Thot”, è una divinità preposta ai ritmi celesti e collegata al tempo. Non a caso, in alcuni miti che lo vedono protagonista, proprio il tempo svolge un ruolo importante, a partire dal mito che racconta dell’amore tra il Dio della terra Geb e la Dea del cielo Nut. Dea che riuscì a partorire, nonostante il divieto del potente Ra, grazie ai giorni epagomenoi ottenuti da Thot. In un altro mito, il piccolo Horus, nascosto dalla madre Iside, tra le paludi del Nilo per sfuggire a suo zio Seth, fu punto da uno scorpione. Thot, che si trovava al timone della barca celeste, udite le urla di Iside, arrestò la barca. Contemporaneamente, anche il tempo si fermò, e questo permise alla Dea di aiutare il giovane figlio.
Prontezza, creatività, capacità di risolvere i problemi, uso della magia e della conoscenza, fanno di Thot un potente alleato per l’evoluzione dell’Umanità.
TOTH

BRAHMA

Con Brahma entriamo nel mondo dell’Induismo, la religione dei Veda, i testi sacri in Sanscrito che contengono la tradizione e la conoscenza della spiritualità Indù. Brahma, principio creatore, Vishnu, principio conservatore e Shiva, principio distruttore, costituiscono la Trimurti suprema dell’Induismo, cioè l’Essere supremo espresso nelle sue tre funzioni, rappresentante la natura di tutto ciò che esiste: secondo i Veda, l’universo materiale in cui viviamo nasce e muore continuamente, rispondendo a una ciclicità che avviene da sempre e per sempre. L’Essere supremo, che ha nome Bhagavat, “colui che è divino”, feconda l’acqua, culla della vita, con il suo sperma; da questo gesto sacro nasce l’uovo cosmico d’oro, all’interno del quale prende la forma di Brahma. La “gestazione” dell’universo dura un secolo; alla fine di questo periodo, Brahma rompe l’uovo, la cui parte superiore diviene il cielo, la parte inferiore la terra e lo spazio tra i due opposti l’etere. In questo modo vengono creati gli esseri divini, i pianeti e le stelle, i fiumi e le montagne, il tempo e gli opposti, che costituiscono tutte le forme che vivono nell’Universo. E poi la parola, i desideri e l’Umanità, divisa in quattro categorie, che ognuna corrispondeva alle quattro classi in cui era divisa la società dell’epoca. Secondo alcune tradizioni, sembra che queste classi siano originate proprio dalle diverse parti del corpo di Brahma: i sacerdoti e i sapienti dalla testa, i principi e i guerrieri dalle braccia, i contadini e i commercianti dalle gambe e i servi dai piedi.
Per quanto possa essere lungo il ciclo dell’universo, ogni cosa che ha un inizio ha anche una fine; la distruzione arriva sempre e Brahma muore, solo per poi rinascere dal fiore di loto, generato dall’ombelico di Vishnu, mentre si trova in uno stato meditativo. E così il ciclo della vita ricomincia.
Brahma viene raffigurato, solitamente, come un uomo anziano con quattro volti, che indicano l’onniscienza con cui governa le quattro direzioni del mondo, a ciascuno dei quali è attribuita la recitazione di uno dei quattro Veda. Spesso viene rappresentato con quattro braccia, le cui mani reggono rispettivamente, una sorta di rosario le cui perle, fatte con i semi di una pianta dalle proprietà curative, simboleggiano tutte l’esistenza; un tamburo a forma di clessidra, che sta a significare il ritmo del tempo che scorre; uno dei Veda, libri sacri che indicano la giusta strada; il fiore di loto, da cui prende l’avvio ogni nuovo ciclo. In alcune immagini lo vediamo cavalcare la sacra oca, che con la sua saggezza è in grado di distinguere l’acqua dal latte. In questo caso, Brahma tiene tra le mani un contenitore con le acque del sacro fiume Gange. E sulle acque scivola l’elegante cigno, l’altro animale a cui è collegato Brahma; acque che sono il grembo da cui si origina la vita e che rendono pura la mente “toccata” dalla conoscenza.